Siamo sempre nel futuro, spero remoto. Il pianeta è ridotto ad una landa desolata, un immenso deserto roccioso. Un’unica città resiste. Ma non è una città normale. Circondata da alte mura, una cupola copre l’immenso giardino. Un unico abitante aspetta. Ha immensi poteri, affronta da solo l’eternità. Ogni sera, al sorgere delle stelle, ripensa al massacro. E’ lui il carnefice.

Un vecchio e un bambino percorrono la terra. Non soffrono la mancanza d’aria, non si accorgono del colore innaturale del cielo. Non hanno bisogno di cibo, e in realtà nemmeno camminano: un momento sono in un posto, il momento dopo sono altrove. Arrivano alla città.

Devono entrare, non si fanno bloccare da armi vecchie di secoli. Intorno a loro esplosioni illuminano la notte, venti di radiazioni levigano la roccia. La roccia è vetro, ora. Il vecchio sorride, alza una mano. Lo squarcio scende, la breccia li lascia passare.

Il bambino guarda, meravigliato. Il verde è una sensazione nuova. Parla, il vecchio. Racconta di quando il pianeta era tutto così. Un altro gesto e un’altra magia circonda i due viandanti. La loro statura cala, diventano sempre più piccoli. Sono formiche, ora. Guarda la natura nella sua maestosità, sussurra.

Appare il cittadino. Infuria la lotta. Il bambino assiste, in disparte. Non lo sa ma è lui l’oggetto del contendere. Il suo respiro impedisce la vita, il giardino marcisce per causa sua. Il demone lo vuole morto, vuole donare di nuovo la vita. Il dio lo vuole vivo, perché ogni vita è sacra. Anche quella dello sterminatore.

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