Sono passati dieci giorni dall’ultima volta, dall’ultimo post. Nel frattempo Milano e l’Italia tutta è sprofondata nel lockdown, causa CoVid-19. Una grande fetta della popolazione è in quarantena, le strade sono deserte, l’aria è più pulita e tutto somiglia a uno stramaledetto film.

È tutto straniante, tutto allucinante. Le televisioni continuano a martellare con le regole: state in casa, lavatevi le mani, state distanti, state al sicuro. Mia moglie e io, per diversi motivi lavorativi, non possiamo. Viviamo una discrasia cognitiva tra la rappresentazione mediatica e la nostra stessa vita. Il tutto condito, abbondantemente, con un filo di paura e di paranoia.

Per le strade non c’è nessuno, ci si può stendere e prendere il sole. Se non fosse per l’aria ancora gelida si potrebbe far finta di essere ad agosto, e godersi la città vuota. Ma non è agosto, e la città non è vuota. Pullula di vita domestica, rinchiusa in casa, asserragliata in difesa del bene comune, stretta nella distanza, aggrappata alla speranza. Mentre fuori ci sono le file dei combattenti. La prima fila, applaudita e onorata, degli infermieri e dei medici. Che lotta, per la vita e la morte. La seconda fila, le cassiere dei supermercati, e gli autisti dei camioncini e dei mezzi pubblici, chi tiene in funzione le infrastrutture elettriche e mediatiche, chi si assicura che gli acquedotti funzionino, chi raccoglie la spazzatura nelle strade, chi sta in fabbrica e nei campi per permettere a questa metropoli di sopravvivere, chi resta al proprio posto nella pubblica amministrazione per impedire il baratro. Seconde e terze file silenziose, che non stanno a casa, che escono ogni mattina, che affrontano la paura del nemico invisibile.

Eroi silenziosi e presto dimenticati di una guerra non voluta e non cercata.

Milano non è una città morta. Milano è una città sospesa, che si riscopre debole, fragile, impotente dinanzi a un nemico implacabile. Ma è una città che tornerà, dopo essersi leccata le ferite, dopo aver riaccolto i suoi figli fuggiti. Milano.

Non è un film apocalittico, è la realtà. Come sono una realtà le file davanti ai supermercati. File ordinate, tutti a distanza, tutti con la mascherina e lo sguardo vitreo. Lo sguardo è un miscuglio strano di paura, speranza, solitudine e voglia di abbracciare tutti. Sono occhi diversi, diversi da prima.

Sono occhi che non saranno più quelli di prima.