Apro il libro, Caino, e inizio a leggere: 1 pagina, 25 righe, 3 punti, 30 virgole. Caos, confusione, ma quanto male scrive Saramago? Giro la pagina, la confusione aumenta, perché ho comprato questo libro? E poi, come gestisce i dialoghi, confonde ogni cosa, confonde i personaggi, confonde.

Mi viene voglia di chiudere il libro, oramai l’ho pagato. E’ piccolo, nemmeno 150 pagine. E un lungo viaggio in treno mi aspetta. Riprendo la lettura. Lo stile migliora, forse. No, oscilla, non mi piace come scrive. Ma la storia inizia a prendere forma. Il primo capitolo è da buttare, penso, ma il secondo già comincia a piacermi.

No, non mi piace il libro, mi piace la storia che scorgo dietro: Eva davanti all’angelo dalla spada infuocata è bellissima, la amo già. Adamo, patetico ma umano nella sua supponenza maschile. E quando l’angelo accende il fuoco, e la carovana li accoglie, Adamo lo adoro, buon viaggio, disse il cherubino.

E finalmente arriva Caino, l’assassino di Abele. È crudo, è spietato Saramago. Ti costringe a vedere il fumo del sacrificio salire al cielo, ma solo quello di Abele. Caino, il contadino, l’uomo che si guadagna da vivere con il sudore della fronte, non è gradito al signore Dio. Abele sbeffeggia, ingiuria, umilia il fratello. E così un giorno, due giorni, tre giorni, per troppi giorni di fila. Finché Caino non compie il suo gesto. Ed ecco il signore, giusto un minuto dopo, non in ritardo, semplicemente troppo tardi. Ed ecco la condanna, e Caino che attacca, accusa il suo creatore: perché non mi hai fermato? Perché rifiuti il mio sacrificio?

La domanda echeggia per tutto il libro: perché? E la risposta, con il procedere della narrazione, con lo sviluppo della storia, diviene sempre più assurda, sempre più senza senso: nessuno può conoscere le intenzioni del signore.

Caino siamo noi, Caino è un moderno, e nel contempo antico, ebreo errante. Salta di tempo in tempo, seguendo i crimini del suo dio: la strage dei bambini di Sodoma e Gomorra, le guerre di Giosuè, il massacro in seguito alla creazione del Vitello d’Oro. Senza dimenticare la distruzione della torre di Babele, e la confusione introdotta nella vita degli uomini. O il sacrificio di Isacco. Fino all’atto finale, la distruzione dell’umanità, per mezzo del diluvio. E la fine, forse una delle migliori che io abbia mai letto, non ve la svelo, non voglio rovinare la sorpresa a nessuno.

Ovviamente io non sono un critico letterario, conosco troppo poco la nostra lingua, e per nulla il portoghese. Ho odiato, fino all’ultima pagina, lo stile di Saramago. Ma la sua storia mi ha preso, mi ha portato a chiedermi assieme Caino, perché? Perché esiste il male, perché dio permette il male? Perché?

Ora è tardi, e voglio riflettere meglio prima di esprimere un giudizio sul contenuto del libro. E’ complesso da fare, è facile scivolare nel massimalismo. Ma i dubbi di Caino, il suo dolore, la sua sete di giustizia nei confronti di un dio matto, feroce, vendicativo trincerato nell’alto dei cieli, sono sentimenti che provo anch’io. Ogni giorno, aprendo un giornale, mi chiedo anch’io perché? E, come Caino, so che non c’è un perché, un fine, una causa ultima che possa giustificare le carrette del mare, i bombardamenti, le guerre, i matti che massacrano giovani e bambini.

Alla fine il Caino di Saramago siamo noi, noi tutti. Deboli, in preda ad eventi tavolta più grandi di quello che possiamo immaginare. Ma forti nel restare ancorati a un’idea di giustizia, all’ideale di un mondo che può e deve essere migliore. Caino, fino alla fine, non si arrende al proprio destino. Nemmeno noi dobbiamo farlo.

O, per lo meno, così è quello che io penso.

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